La Chiesa superstite alle demolizioni urbane
Del complesso monumentale resta oggi la chiesa attorno alla quale fu costruito il monastero cinquecentesco. La facciata, in pietra viva, delimitata da robuste paraste angolari e conclusa in alto da un semplice cornicione, inquadra il portale d’ingresso, sormontato da un’architrave e da una finestra con grata. Vi si accede attraverso una scala con sviluppo isoscele che raccorda la sede stradale al piano di calpestio della navata. Sul fianco laterale della fabbrica resta traccia degli archi di separazione e relative volte - poi crollati per errori di esecuzione o di misura - preliminari ad un ampliamento della chiesa. Nei primi del ‘900, infatti, vi si volevano costruire nuovi locali dove ubicare vasti cameroni in uso all’Ospedale Pietro Caruso: intervento poi irrealizzato.
La Chiesa di Santa Caterina e l’Ex Monastero
La Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, tripudio del barocco sambucese, è ciò che resta del complesso monumentale del Monastero Benedettino di S. Caterina, fondato nel 1515 dal nobile Giovan Domenico Giacone d’Irlanda. Questi, per testamento, destinò una vasta casa di sua proprietà, nell’ampio quartiere di S. Maria dell’Annunziata, di fronte l’Ospedale Pietro Caruso, dove ci troviamo, proprio per istituirvi un convento femminile.
Un imponente complesso religioso sulla Strata Granni
La struttura originaria dell’intero complesso era molto estesa: si articolava lungo il Corso Umberto dall’attuale Palazzo della Banca Sicana fino alla via Roma, includendo l’attuale Piazza della Vittoria (oggi a fianco della chiesa). Comprendeva il monastero (nell'ala sinistra), la chiesa (nella sua parte centrale) e, a destra, il chiostro, confinante con la via del Mercato (oggi via Roma) e, nella parte posteriore, con la Via Telegrafo.
Le vicende del Monastero
Ad inaugurare l’opera cinquecentesca, fu chiamata dal monastero di Sciacca Suor Maria Ludovica Bufalo, che divenne la prima Abbadessa del nuovo monastero sambucese. Qui nel 1721 si celebrò il matrimonio del principe Pietro Beccadelli di Bologna Reggio, marchese di Sambuca, con donna Marianna Gravina Lucchesi: un evento in onore del quale suor Virginia Casale di Rocca Menna, religiosa del Collegio di Maria di Sambuca, creò dolci deliziosi, ripieni di biancomangiare, gocce di cioccolato e zuccata, denominati per la loro forma "Minni di vergini" (seni di vergine): un vero capolavoro della pasticceria sambucese dal ‘700. Il monastero e la chiesa trascorsero epoche particolarmente floride, anche grazie al mecenatismo dell’illustre don Pietro Beccadelli, arricchendosi di straordinarie rendite, dipinti, cicli di affreschi e opere d’arte. Tuttavia, nel 1866, con l'emanazione delle leggi eversive del giovane Regno d’Italia e la soppressione delle corporazioni religiose, il Monastero fu dapprima incamerato dal Fondo per il Culto. Ceduto, poi, al Comune, venne destinato parte a scuola elementare femminile, parte ad alloggio delle monache superstiti; finché, nel 1907, fu abbandonato anche dall’ultima religiosa, ormai anziana. Nel 1927 la parte del fabbricato monastico a destra della chiesa fu interamente demolita: si persero il grande parlatorio e la bella sala di ricevimento a pian terreno, il vasto dormitorio delle monache al piano soprastante, il grande chiostro e un giardinetto con cisterna cinto da altissime mura su Via Telegrafo. In quell’area, col pavimento del distrutto edificio, nel 1929 fu realizzata la Piazza della Vittoria con il Monumento ai Caduti nella Grande Guerra. L’ala superstite del Monastero fu invece adibita prima ad uffici comunali e a casa canonica, poi, nel 2023, a sede della Pinacoteca “Istituzione Gianbecchina”.
Un’opera tripudio del barocco sambucese
La chiesa è a navata unica, divisa in quattro campate da 4 altarini in marmo, sui lati. Nel Seicento fu adornata da un ricco apparato decorativo in stucco: una delle prime opere giovanili dello scultore palermitano Vincenzo Messina, allievo dei Serpotta, trasferitosi a Sambuca a metà Seicento dopo il matrimonio con una sambucese, ma attivo anche a Palermo. Il pavimento, in maiolica di Burgio, risale alla seconda metà del Settecento. Sulla volta, l'affresco del cappuccino Fra’ Felice raffigura il “Matrimonio Mistico di Santa Caterina”. Al patrimonio artistico della chiesa appartengono le due acquasantiere in pietra bianca e marmo rosso sui lati della grande arcata della cantoria in controfacciata - chiusa da una teoria di grate con un lunettone occupato da una monumentale grata a raggiera. Ne fanno parte anche due statue lignee seicentesche raffiguranti Santa Caterina d’Alessandria e la Madonna del Cardellino, opera di Fra’ Innocenzo da Petralia, e una Madonna con Bambino seduta con Sant’Anna e San Gioacchino, opera di scuola fiamminga ispirata a Rubens (oggi esposte nel Museo d’Arte Sacra sito nella vicina Chiesa del Purgatorio). Lungo il perimetro della chiesa sono ancora visibili le "gelosie" monacali: così erano dette le grate che servivano a mascherare le monache di clausura che assistevano al culto. Esse richiamano la monumentale grata a raggiera del coro. Le pareti della chiesa sono una profusione di cariatidi su colonne, candelabra, cartigli, conchiglie, cornici, corone, fusti, festoni, ghirlande, mensole, pinnacoli, pendenti, putti e angioletti, quadroni, riccioli, volute, stemmi, armi, particolari rifiniti tra motivi fitomorfi a foglia d'acanto. Nella grande cappella del presbiterio spicca l’altare maggiore, adorno di una tela, copia dell’originale pala d’altare settecentesca dipinta da Fra’ Felice da Sambuca e andata perduta nel 1985: rappresenta San Benedetto e la glorificazione di don Pietro Beccadelli, marchese di Sambuca, che dotò e arricchì il monastero e la chiesa di rendite e di opere d'arte. E’ affiancata da due pregevoli statue in stucco - San Mauro Abate e San Placido Monaco, cofondatori dell'ordine benedettino - e sormontata dall'Eterno Padre che dall’alto irrompe nel presbiterio tra angeli e musici, secondo il classico schema decorativo. Nella prima campata ai lati dei primi due altari quattro cariatidi reggono la trabeazione: le quattro statue a tutto tondo sono allegoria delle Quattro Virtù incarnate ed inquadrano, a destra, l’Altare di Santa Caterina con, incastonata sul paliotto, una scena del martirio della santa; a sinistra, un altare con un quadretto raffigurante la Vergine. Gravemente danneggiata dopo il devastante sisma del ‘68, la chiesa ha completato solo recentemente i lavori iniziati negli anni ‘90 e sospesi per decenni.