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Le nobili origini della Suora dei Miracoli

Suor Vincenza Maria Amorelli è stata una figura straordinaria, morta in fama di santità dopo avere trascorso oltre 65 anni della sua vita costretta da una malattia a letto, offrendo la sua sofferenza a Dio. Fu una dei 12 figli del ramo sambucese degli Amorelli, famiglia storica siciliana originaria di Sambuca di Sicilia, di elevata posizione sociale, proprietaria di palazzi, oratori e sepolcri privati ed estese proprietà. I suoi membri, fedeli alla Santa Sede e ai Borbone, diedero un contributo notevole alla Chiesa, alla politica, alla spiritualità, alla fede, ma anche all’arte e alla cultura, lasciando una traccia indelebile nella storia di Sicilia. Indicati già dalla seconda metà del 1700 coi titoli distintivi di Don e Magnifici, nel 1832 ottennero dal Papa Gregorio XVI il titolo nobiliare ereditario di Conti dell’Aula Lateranense e del Palazzo Apostolico. Nell’800 la famiglia si divise in due rami: il primo, rappresentato dal Magnifico Don Epifanio Amorelli, Padre di Vincenza, continuò a risiedere a Sambuca; il secondo, rappresentato dal Conte Audenzio Amorelli, si stabilì invece a Siracusa.

La Casa natale di Suor Vincenza Maria Amorelli

Il luogo in cui ci troviamo è uno dei Luoghi dell’Identità e della Memoria di Sambuca di Sicilia, legato ad una delle personalità storiche del borgo, vissuta tra il 1737 e il 1824, che ebbe i natali proprio qui, in questa casa: parliamo di Suor Vincenza Maria Amorelli, “la suora dei miracoli”. Nota anche come “la collegina di Maria” o “la Serva di Dio della Sambuca”, grazie ai suoi eccezionali doni e alla sua dedizione, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della comunità sambucese.

Nella Chiesa di San Giuseppe un’opera omaggio alla “suora dei miracoli” 

Nel 2014 un munifico sambucese ha commissionato all’artista Francesco Bondì un dipinto dedicato alla suora sambucese, custodito nella Chiesa di San Giuseppe. Nel progetto iconografico del monumento alla religiosa, l’artista ha voluto mettere in evidenza la visione, che suor Vincenza ebbe nel momento del suo trapasso, di tre stelle sul suo cuscino (le tre virtù teologali). La composizione architettonica del trompe-l'oeil pittorico richiama lo stile architettonico del Fercolo di Maria SS. dell'Udienza, cui Suor Vincenza era devota. L'analogia tra le due architetture vuole sottolineare il dinamismo della “Chiesa in uscita” invocata da Papa Francesco: la Chiesa che va incontro al suo popolo, nel fercolo della Madonna dell'Udienza, e la Chiesa che avanza nei secoli, nel monumento a suor Vincenza.

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Una vita vocata alla santità

Già a otto anni Vincenza si privava del pasto quotidiano per darlo ai poveri; a dieci si accostava assiduamente al sacramento dell’Eucaristia; a quattordici anni - siamo nel 1751 - decideva di entrare nel Collegio sambucese di Maria, fondato dieci anni prima dal marchese Pietro Beccadelli: qui Vincenza sarà novizia, poi professa, infermiera e maestra delle scuole del Collegio, ma dopo soli 2 anni, diciassettenne, tornerà alla casa paterna a causa della gracilità del suo corpo e delle continue vessazioni diaboliche. Amareggiata, umiliata, delusa, confusa, col cuore a pezzi, Suor Vincenza Maria farà della propria casa il suo “eremitorio”, dividendosi fra la preghiera e il faticoso lavoro al telaio (le collegine furono vere maestre nei lavori di cucito). Si dice che il demonio la tormentasse di frequente di notte. Devota di Gesù Bambino, di cui custodiva la piccola statua in un altare di fronte al suo letto, ebbe la grazia dell’infanzia spirituale: un atteggiamento di umiltà, confidenza ed abbandono a Dio, ad imitazione dei piccoli che hanno fiducia nei loro genitori. A ventidue anni una grave malattia la costringerà a letto per circa 65 anni fino alla morte: una condizione che offrì “per la santificazione della Chiesa, la pace nel mondo, la salvezza delle anime”. Pur soffrendo di forti dolori e ardenti febbri, mai diagnosticate da nessun medico, non si disinteressò mai delle persone che spesso si raccoglievano numerose accanto al suo letto: a tutti dava un consiglio, una parola buona, testimoniando la Carità verso il prossimo e contemplando la Passione di Cristo e il Sacramento dell’Eucarestia, frequentemente rapita in estasi. Testimoni diretti raccontanto dei suoi vari carismi per l’utilità comune: i doni della conoscenza del cuore, della conoscenza degli spiriti, della guarigione e della profezia. Il 1° marzo 1764, come avvenuto a San Francesco d’Assisi ed altri santi, ricevette le stimmate (piaghe su mani, piedi e costato, simili a quelle inferte a Cristo nella crocifissione). La fama della sua vita e delle sue opere si diffuse in tutta la Sicilia, raggiungendo la corte di Re Ferdinando di Borbone e della Regina Maria Carolina - che pare le abbia fatto visita - fino a Roma, alla corte pontificia. Alla morte di Suor Vincenza, il 7 aprile 1824, il Mercoledì Santo, tutti i Sambucesi, profondamente addolorati, uscirono dalle proprie case e si radunarono nei pressi del Palazzo Amorelli, nel Largo di San Michele. Per la calca, a stento il suo corpo potè essere portato per il funerale in Chiesa Madre, dove fu sepolto nella cappella del SS. Sacramento, in un mausoleo eretto nel 1825 per iniziativa del nipote, Mons. Amorelli, e della sua famiglia. Dopo la sua morte la sua fama si estese ancor di più, anche per i miracoli attribuiti alla sua intercessione, come la liberazione degli abitanti di Sambuca dal colera nel 1837.

L’epidemia di colera e il miracolo del Gesù Bambino di Suor Vincenza

Nel 1837 la Sicilia viene colpita da un’epidemia di colera: a luglio il morbo invade anche Sambuca, dove il 25 del mese si contano ben 1200 vittime sui circa 9.000 abitanti del paese. Diffusasi la notizia che Suor Vincenza era apparsa in sogno ad alcuni sambucesi - tra cui Suor Rosa Ferraro, religiosa molto stimata in paese - alcuni facinorosi incitarono il popolo a recarsi in Chiesa Madre per dissotterrarne il corpo e portarlo in processione, convinti che la Serva di Dio avrebbe ottenuto il miracolo della cessazione del colera. La popolazione, in preda al delirio, si diresse, disperata, verso la Matrice, tumultuando e forzandone le porte. Avvertiti di ciò che stava accadendo, l’Arciprete Don Vito Planeta e il Sacerdote Don Pietro Lucido, corsi in Chiesa Madre, cercarono di dissuadere la folla dal suo intento per non compromettere le spoglie della Serva di Dio e comprometterne l’eventuale Processo di Beatificazione e il 25 luglio, tra le preghiere e le lacrime di tutti, fu portato in pubblica processione per le strade di Sambuca, la statua del Bambino Gesù di Suor Vincenza Amorelli “al quale la Serva di Dio chiedeva tutte le grazie di cui aveva bisogno per sé e anche per il prossimo”. Giunto al centro del paese, nella strada principale, ai “quattro cantoni” (l’incrocio tra via Roma e Corso Umberto), il colera “cessò e non vi furono più vittime.” Da allora, ogni anno, il 25 luglio, in memoria dell’evento miracoloso, viene cantato un Te Deum in onore del Bambino Gesù di Suor Vincenza.

Testimonianze dei prodigi

Oggi suor Vincenza Maria Amorelli è “serva di Dio”. La causa di canonizzazione procede. Fra le testimonianze dei miracoli attribuiti alla religiosa, anche quella che Vincenzo Navarro racconta nel suo “Diario”. Lo scrittore, che nel 1817 era giovane studente di Medicina a Palermo - giunse a Sambuca da Ribera, accompagnato dalla madre. Addoloratissima per la morte della figlia Aloisia (sorella di Navarro), la donna aveva, infatti, saputo che a Sambuca vi era una serva di Dio chiamata suor Vincenza Amorelli in fama grandissima di santità, e solo grazie al racconto dei molti miracoli operati per sua intercessione trovò serenità e consolazione. Il ricordo di Suor Vincenza Maria Amorelli continua a vivere attraverso le testimonianze di coloro che hanno conosciuto la sua santità.

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