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Sul sito del Castello dell’emiro Al-Zabut, lo splendido

Secondo alcuni il giovane emiro era definito "Al-Chabut", lo splendido, per il suo vigore in battaglia, appellativo che fu trasmesso alle terre da lui conquistate e quindi anche a Sambuca di Sicilia: Zabut per gli Arabi. Per alcuni, infatti, il nome del borgo - una vera città-fortezza in epoca saracena- deriva proprio da "Chabuta", splendida; per altri, invece, proviene dalle piante di sambuco diffuse nella valle del lago Arancio; per altri ancora nasce dalla sambuca, uno strumento musicale greco simile a una piccola arpa, la cui forma è richiamata dall’impianto urbano e dallo stemma della città. Il maniero di Zabut fu edificato dagli Arabi proprio sul costone di arenaria che controllava la punta a Sud dei Monti Sicani. Si stagliava alto con il suo sperone roccioso e con la guglia del campanile della vicina Chiesa Madre, un tempo torre di avvistamento. L'esedra, schermata da colonne ottocentesche, conserva tracce murarie della torre, apprezzabile da chi guarda dalla vallata a Nord Est. Pare che da qui si diramino dei camminamenti nel sottosuolo che raggiungono punti strategici del territorio necessari in caso di fuga.

Il Terrazzo Belvedere

Ci troviamo nell’area più elevata della città, nel luogo dell'acropoli fortificata dell’antico castello dell’emiro Al-Zabut, giovane e valoroso guerriero arabo che nell’830 d.C. (pochi anni dopo lo sbarco degli Arabi in Sicilia dell’827) fondò il paese imprimendo per sempre del suo spirito questi luoghi.

Da maniero arabo a Calvario per la Crocifissione del Venerdì Santo

Persa la funzione di difesa, il castello cedette il suo spazio alla Chiesa Madre che, da allora, fu ripetutamente ampliata inglobando una delle torri divenuta campanile. Nella metà del XVII secolo cadde in rovina, divenendo nel XIX secolo prigione e, dal 1837, durante l’epidemia di colera, un lazzaretto. A mille anni esatti dalla fondazione, intorno al 1840, il castello, che già versava in stato di abbandono - le strutture residue furono demolite e il materiale di risulta utilizzato per l'edilizia civile - fu venduto e frazionato. Nel secondo ‘800 poi, demolite le strutture residue, fu ricavato un grande terrazzo per celebrarvi, obbedendo agli usi del tempo, la Crocifissione del Venerdì Santo. Da qui fu chiamato Calvario. Il "calvario", però, fu adibito a questo scopo solo per poco tempo. Subito dopo la prima guerra mondiale, infatti, il Cristo Morto fu celebrato all'interno della Chiesa Madre.

Una finestra sui Sicani, tra i luoghi più affascinanti di Sambuca

Oggi questo luogo è noto anche come Terrazzo Belvedere, una delle tappe più affascinanti del paese, posta su uno strapiombo. Da qui si gode una vista incantevole su tutta la valle attorno a Sambuca di Sicilia: lo stupendo panorama, che guarda verso Adragna, sconfina oltre le sino alle terre sveve di Giuliana, di Caltabellotta, di Chiusa Sclafani, nello sfondo le montagne delle Rose e la catena interna dei Monti Sicani. La vista arriva fino al Cretto di Alberto Burri, la più grande opera di land art italiana a Gibellina. E tutto attorno, si susseguono colline, pendii, orti, ampie aree boschive e la verde campagna siciliana. Il terrazzo “Belvedere” in estate ospita le attività culturali e ricreative di Sambuca.

Il terrazzo Belvedere tra i Luoghi dell’Identità e della Memoria (LIM)

Il Terrazzo Belvedere è stato inserito dalla Regione Sicilia tra i LIM (Luoghi dell’Identità e della Memoria) nella sezione dei Luoghi del racconto letterario, televisivo e filmico: spazi fisici descritti nelle pagine letterarie o che, essendo stati gli scenari di set di riprese cinematografiche o televisive di autori di chiara fama, hanno contribuito a riaffermare e promuovere l’identità culturale dei paesaggi siciliani. Un patrimonio di enorme importanza oggetto di un progetto di valorizzazione, opportunità per definire le strategie di sviluppo della comunità che li accoglie.

Scimeca e il suo film: “Briganti di Zabut”

Nel 1997 Scimeca, considerato “il verista dei registi siciliani”, avvia le riprese di “Briganti di Zabut”, un film drammatico ambientato alla fine degli anni ‘30, girato in Sicilia nella Valle del Belìce, tra le rovine e le campagne di Santa Margherita di Belice, di Termini Imerese e di Sambuca di Sicilia. Il film otterrà dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento dello Spettacolo il riconoscimento di film “di Interesse Culturale Nazionale”.

Zabut, location di storie di brigantaggio e lotte contadine

Il film, ambientato nella Sicilia d’epoca fascista, racconta di Peppe Manzella, un povero bracciante che vive con la moglie nel paese di Zabut. Una sera d'inverno del 1937 scrive una lettera in favore di un mendicante, ma il podestà la intercetta e lo manda al confino nell'isola di Favignana. Finita la guerra nell'estate del '43, Peppe fa ritorno a casa e trova Zabut in preda alla rivolta contadina: i contadini rivendicano il possesso delle terre incolte, scontrandosi con i feudatari e i mafiosi. In una sparatoria tra un gruppo di giovani e i carabinieri, uccide l’ex podestà che l'aveva mandato al confine e si dà alla latitanza. Con Manuele, Triolo, mastro Pidduzzo ed altri compagni forma una banda con lo scopo di rubare ai ricchi e combattere la Mafia, che perseguita i poveri contadini. Alla fine dell'estate le cose precipitano: Mafia e carabinieri daranno alla banda una caccia spietata. Prima verrà ucciso Manuele, poi Triolo. Tutti gli altri verranno feriti e catturati in uno scontro a fuoco alle porte del paese.

"La storia di 'Briganti di Zabut' è entrata nella mia vita in un periodo di crisi - dice Scimeca - quando stavo preparando la tesi di laurea sulla ricostruzione del movimento sindacale in Sicilia. Mentre sfogliavo i giornali dell'epoca non mi interessavano i dati propriamente storici, ma quelli legati alla cronaca nera. L'ultima cosa che ho letto, prima di abbandonare la mia ricerca, è stato un articolo in cui si raccontava di una banda di briganti di Sambuca e del loro processo. Questo episodio è entrato a far parte di me e, dopo tanti anni, ho sentito la necessità di ripercorrere quei luoghi e quegli avvenimenti". Accanto agli attori protagonisti, Franco Scaldati ed Antonio Albanese, molti cittadini sambucesi. Il film si è giovato anche della consulenza di Giuseppe Alfano, un membro della banda condannato a venti anni di carcere, che chiude il film con una toccante testimonianza. Il film è stato proiettato dinanzi alla comunità sambucese il 25 agosto del ‘97 in Piazza Vittoria, suscitando grande commozione nei cittadini, spettatori del racconto cinematografico di un pezzo della loro storia.

La nascita del film nelle parole del regista e il coinvolgimento della comunità

L’11 ottobre 1997 Roberto Nepoti scriveva sul quotidiano 'La Repubblica': "Scimeca continua il suo ciclo dei vinti ('Il giorno di San Sebastiano') coniugando coscienza politica e atemporalità del mito: a dirla con una boutade, un po' tra 'Salvatore Giuliano' di Rosi e 'Il siciliano' di Cimino. Usa bei piani larghi, prolunga le inquadrature, è didascalico, però sa anche raccontarci una commovente second-story d'amore impossibile tra un soldatino e una piccola prostituta. In apertura, citando Pasolini, lo sceneggiatore-regista si chiede: 'Ma perché realizzare un'opera quando è così bello solo sognarla?'. No, Scimeca: 'I briganti di Zabut' hai fatto bene a farlo davvero".

Il ciclo dei Vinti di Scimeca e le opinioni della critica

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